BIOGRAFIA
Nato a Livorno nel 1897, vive a Firenze. La sua singolare attitudine all'arte fu notata subito dal poeta Giosuè Borsi, amico di famiglia. Così tredicenne fu mandato a studiare a Firenze e cominciò subito a disegnare dal vero, esponendo per la prima volta, a diciassette anni, negli amatori e cultori di Roma.
Ha partecipato a numerose mostre regionali e nazionali, alla Mostra Maremmana a Roma. Secessione a Roma, Primaverile Fiorentina, Internazionale di Tokio, Esposizione dell'America del Sud nel 1926, e del Paesaggio Toscano a Bologna, alla Mostra dei Cinquant'anni di Pittura Toscana (Firenze, Palazzo Strozzi. 1950). Premiato per L'estate livornese. Fondatore del Gruppo Labronico. Sue opere figurano nella ex Galleria Reale d'Italia, acquistate dal Governo nel 1936. E litografo e acquafortista.
Nella storia delle immagini, cioè nell'arco strutturale dell'arte pittorica di domenici carlo, quale termine di realtà, è la concezione umana e poetica della natura.
Una conferma precisa, uno spazio estraneo ad ogni concettualismo, perché la pittura del Domenici è continuità di quella corrente scapigliata, larga, esuberante, per vibrazione colorica e che ebbe in toscana, Firenze-Livorno, il quartier generale.
Dirà infatti il Domenici in una sua confessione: «Siamo dei continuatori ed abbiamo sentito fortemente l 'influsso di quei nostri maestri e come allievi è dovere seguirne gli insegnamenti: ci hanno lasciato un grande messaggio d'arte e di amore. Non abbiamo perciò avuto problemi e per quanto mi riguarda ho sempre fatto da solo. Le accademie non sarebbero servite a nulla se non ci fossero stati i vari Lega, Signorini, Palizzi, Fattori ed altri, non avremmo appreso nulla dalle accademie. Siamo quindi dei continuatori, ognuno con la propria personalità e facciamo parte vitale di quella loro pittura, soprattutto fedeli al Fattori, grande e vigoroso come una quercia ».
Si esclude ogni margine allegorico, per autentica presenza di forma, rapportata alla realtà, al movimento, agli ideali di grazia, agli aspetti di costume, alla riscoperta intelligente dell'affresco naturale.
In questi ultimi tempi la cultura pittorica ha prevalso sull'arte immediata, quella definita da armonie e robustezza sanguigna, e Domenici, pur fedele ad una rivoluzione innocente e lirica, rimane il narratore dei paesaggi, delle marine di larga tendenza toscana, tralasciando ogni emblematico termine intellettualistico, proponendo quella sua intangibilità individuale con l'entusiasmo di chi ricerca gli elementi del vero per la formazione del quadro.
il sole, i verdi, il mare, i bovi, i cavalli, i casolari rustici, quel sistema di uni-versale realismo, non svuotato da cultura estetica, partecipano ad altrettante azioni pittoriche, all 'incontro di spirituale amicizia tra paesaggio e il mondo in cui egli vive, nel rapporto quotidiano: Livorno, Firenze, l'Elba e la Maremma.
E la vegetazione maremmana, i robusti lecci della campagna livornese, i vetusti ponticelli, i barrocciai, i butteri, le aperture elbane, i vicoli di paese, le donne al mercato, i crepuscoli, le mezze tinte della sera, i golfi della sua isola, le case dei pescatori, le spiagge e gli scogli, le singolarissime nature morte, i pagliai nella loro filosofia; e Castiglioncello, con gli accenti profondi e misurati di ampiezza gestuale, argomenti di meditazione; oppure gli angoli agresti, i campi dove l'uomo è un classificato monumento con le stagioni, le singolarità architettoniche di paesi e selve, i profumi degli orti nel passaggio della giornata; vediamo ad esempio la Venezia labronica (Galleria d'Arte Moderna di Roma) con i profili urbani nelle acque dei Fossi Medicei e le favole antiche e moderne dei barconi tinteggiati di pece niella distesa di sereni entusiasmi.
Tutto questo, nel mondo dei rapporti tra arte e società, lo muove per convinzione, ed egli taglia, inquadra e adegua alla poesia degli ambienti quel suo pensiero, eccitamento di visione immediata, originale per naturalezza e realismo. Sensibilità cromatica e impostazione disegnativi, perciò i suoi celebri bianconeri e le acqueforti di profondità elica per spazio e penetrazione, costituiscono le premesse di un'arte litografica dalla singolare fisionomia e schietta legittimità incisoria. Testimonianza autoctona e unitaria nella sintesi come nelle nuove proposte colorate, nella grafica impegnata e continua, nelle conversazioni pittoriche e popolaresche — non è poesia dialettale —, nella fatica dell 'uomo che muove affetto senza confronto alla terra che lo ha generato, alle coniature di caccia, ai particolari di mitica sopravvivenza, ove l' umanità e le cose si caricano di gesti e di
sguardi.
Perciò egli è vicino ai grandi toscani dell 'ottocento, come Fattori, Lega, Borrani, Abbati, i macchiaioli d'Europa, come furono definiti, e ai continuatori: Mario Puccini, Ulivi Liegi e Giovanni Bartolena nei libertà.
È quello stesso studio diretto con la natura che conduce il Domenici a uno storicismo di sintesi, di forma-colore che io aggrega, per diritto, agli ottocentisti puri. E una urgenza, una versione di ascetismo pànico.
La originalita del Domenici è appunto nella percezione viva delle immagini, delle idee, dei sentimenti e dei sospiri che si alternano nel tempo e nella comunità senza che ne difetti il lessico, quello della panoramica d'insieme, nei movimenti pittorici di prospettiva e studia il comportamento della natura nella sua genesi.
Nelle varie opere di soggetto si allarga per capacità di figurazione irreversibile e biblica, per argomenti rusticani ripresi con vivezza, ricercati nella luce e nelle ombre e il paesaggio dosatamene aperto risolve il rapporto tra realtà sociale e il mondo della creazione.
Egli compie cioè una purezza unitaria, una, forma precisa, ((atmosferica», percio viene definito il pittore della luce e della spontaneità immediata, procedendo per campiture, linee prospettiche e di volume nell'ampiezza e nella narrativa di massa.
Cosmogonia naturale e pittorica sofferta: il Domenici si è formato da sé, nonostante l'avvio all'Accademia fiorentina; si è considerato perciò autodidatta, documento qualitativo, in quanto le accademie non creano artisti: il pittore, come il poeta, alla ricerca di nuovi spazi, perché l'arte è rapporto di civiltà, principio e termine di proiezioni spirituali e di ambiente.
Come pure in Domenici ritroviamo certi accostamenti ai classici toscani che dal 400 hanno influenzato tutta la storia pittorica, in particolare nella monumentalità di presenze affrescali e nella sintesi. È l'equilibrio di una natura paesana innocente e mitica, distinta per scioltezza negli animali al lavoro, nella nemesi di figure umane, nel silenzio terminale delle spiagge, nell'orgoglio di cavalli bradi sostenuti dalla volontà dell 'uomo forte, valori che assommano a linearità virgiliana e carducciana, forti di paganesimo.
Continuità e variazioni che ritroviamo nella meraviglia con cui il Domenici osserva il paesaggio e ne affonda i pensieri, ecco La raccolta del grano: gli uomini che compiono il dovere di un rito con gesti misurati, sacerdotali; uomini tagliati dal sole in contrasto con i profili delle ombre del contado e ci conducono a misurata severitàmediterranea.
Materia composta di ore felici, di gammature luminose, di colloqui confidenti, un inno alla serenità: Il ritorno dalla vendemmia, grande composizione elbana: il lavoro nella sua esperienza coi caratteristici somarelli anch'essi preziosi, motivo di ambiente umano, e colline e cielo, quel cielo del Domenici dalla partitura universale.
Quadri limpidi nella opulenza degli ocrati, delle folgoranti gradazioni solari e diversa è la musicalita e intense le voci: il clamore dell'estate, il raccoglimento dell'autunno; e i loro idiomi: delicatissimo e stanco, sanguigno e penetrante, opaco per i sottofondi viola o bluastrii, più o meno intensi, graduali: un gioco che scolpisce, contorna, movimenta le atmosfere chiare e lontane, rosate o laglienti o bruciate per la bassa calura.
E parla di se stesso con grande modestia — il Domenici — della sua formazione, una bonaria leggenda senza nulla chiedere alla eccentricità: linguaggio scarno, innocente per cortesia di affetti.
«La mia vita è semplice: sono nato a Livorno nel 1897, vivo a Firenze e all'Elba; due centri per me di confronto e di incontro importantissimi: la bellezza fiorentina nell'arte e nella natura e la colorazione elbana come spettacolo che si apre alla meraviglia. Ero giovanissimo, 12 anni, quando Giosué Borsi, sensibile poeta e scrittore, oltreché generoso eroe, amico di famiglia, mi volle donare una cassettina di colori e fu questo il più valido incoraggiamento a quel mio desiderio di ragazzo distratto, ma non troppo. Così con quei tubetti che costituivano la bontà e la stima di un grande amico artista, il Borsi, composi le prime pitture che mandai all'Esposizione Amatori e Cultori di Roma, siamo nel 1917. A 13 anni fui avviato all'Accademia a Firenze iniziando un rigoroso lavoro col vero. E l'attività crebbe e i quadri si moltiplicarono — sembra una parabola — e con essi il giudizio dei critici.
Proprio in quell'anno Mascagni mi acquisitò una Venezia di Livorno, un grande bianconero che ricordo con affetto, ed anche il Maestro mi incoraggiò a proseguire.
Fui tra i fondatori del Gruppo Labronico che servi a fòrtifìcare il pensiero dei nostri pittori e la mia produzione fu onesta, seguendo quella tradizione storica anche per me fu tnutrimento spirituale.
La umanità di domenici carlo è racchiusa nel breve scorcio autobiografico dai contorni sereni, per essenziali testimonanze, e conseguente è la sua pittura di rigore, di metodo, d' intuizione, e i personaggi da lui descritti, con lineamenti romantci e di immediato realismo, suggeriscono punti di verità e di coscienza. Larga traiettoria mistica, di silenzio e vivacità canora, incontaminata che ha il punto di partenza dalla Maremma, e si aggiunge la campagna toscana e la marina dell'Elba.
Una modernità di stile, di esperienze, di incontri alla base della sua creazione compiuta di cielo e terra.
Nell'itinerario maremmano o simbolismo d'Etruria, egli torna ai principi di rigorosa evidenza, alla distesa suggestiva ed intricata di alberi, abituri, cignali trafitti, aggiungendo il mistero della selvatichezza, il tormento del solleone; terra — questa — di stupore che da Fattori a domenici carlo fu oggetto di un destino: una natura-personaggio. Ed è riuscito a comprenderne l'intimità, quel suo parlare,tralasciando il superfluo, la materia esclusa dal silenzio: bovari tormentati dalla fatica, sereni angoli di libertà linguistica dal profilo severo e figurato, e uomini come contadini, cacciatori, pescatori di padule dal sapore del pane casalingo.
Una giostra di conquiste, un traguardo dove si esclude la macerazione di programmi, sopravvive la poetica, la misurata forza della verità. Ed ancora: butteri come figure bibliche, vedi il Buttero maremmano, un celebre olio del 1950 monumentale per quadratura e volume, per visualita psicologica; personaggi mitici con elementi congiungenti alla figura centrale del buttero della "Marcatura dei torelli" del Fattori: l'uomo a cavallo preso di spalle. Ma questi uomini del Domenici aggiungono una qualche definizione di penetrante modernità, di fantasia più descrittiva, ritmata e flessuosa.
E vediamo i graduali della sua tavolozza: il grigio, il viola, il blu nei diversi spazi e la grande spiritualità del mare e del cielo. In particolare i rossi, i gialli e gli azzurri anche scavano la sostanza dei sentimenti
Altro preziosismo nell'opera del Domenici: il motivo spaziale, per semplici piani sovrapposti in rapporto alle immagini che si articolano con scioltezza di metodo, in una natura non oppressa da contorni, per esaltare l'uomo e il paesaggio.
In un incontro a Milano con Vincenzo Bucci, durante una mostra del Domenici nella capitale lombarda, quel critico e finissimo pittore si espresse con questo giudizio: << In arte non si riesce a commuovere se non a prezzo di commozione. E certe pennellate gettate sotto l'impeto di un fremito suscitano il medesimo fremito nell'osservatore sensibile. L'arte del Domenici è tutta qui. Commuove tutti coloro che non ebbero la natura matrigna fino al punto di interdire loro la facoltà divina di commuoversi; e in questo risiede il pittore, la continuità della grande tradizione artistica italiana. La sua personalità spicca da una tavolozza tutta sua, ma non fabbricata a base di più o meno cervellotiche predilezioni di dati colori, bensì temprata alla sfumata sensibilità visiva dell'artista.
Opere ammirate in pinacoteche, musei e collezioni di ogni parte del mondo e che ebbero il commento dei più noti critici: Ugo Ojetti, Leonardo Borgese, Costantini, Carlo Carrà, Mario Tinti, Orlo Vergani, Carlo Tridenti, Marziano Bernardi, Corsini, Bonardi, Milziade Torelli, Alfredo Jeri.
E predomina la luce nel geometrismo delle composizioni, come aspetto di un sistema, per esprimere verità e coscienza, nel contemplare il vero nei monumentali aspetti.
Così nella paesaggistica elbana il Domenici vi scopre angoli della Maremma, dall'asprezza innocente, dal rigore e la gioia dell'inatteso: l'alba, il meriggio, il tramonto, termini di una Elba lirica: dalla vendemmia al lavoro sulle colline, alle insenature di mare, alle soste dei pescatori, quel mare venato di verde, profondo, trasparente. E i bastimenti, rigogliosi di cordami, fermi nei porticcioli e i renaioli d'un tempo alla fatica dei barrocci e dei barconi; e le scogliere livornesi, i profumi dei cantieri, gli aromi salmastri, i colpi d'ascia sulle carene squarciate e la gradualità dei venti, il romanticismo delle vele, le tinteggiature dei pescherecci riflessi nelle acque, una superficie preziosa, ricca di ricami, di ricordi; e le acque interne della vecchia Livorno, i canali medicei che traversano la città onusta, acque spesse, travagliate, melmose, verdastre con frammisti colori senza limite.
Limpide doti di tavolozza autobiografica che compongono serenamente la linearità dei suoi quadri, la compostezza dell'Uomo, l'affermazione dei suoi dipinti nella storia di questo travagliato periodo ed oltre; pittura di rapporti esaltanti, per purezza, alla ricerca della luce nella autentica classificazione secondo il valore e il ritmo.
Una pittura toscanamente onesta che convoglia l'ambiente al mondo che gli appartiene, quel mondo tanto amato dal Maestro che lo ha accolto nell'eterna primavera dell'arte.
Piero Caprile |